Pubblico la mia intervista a Roberto Cacciapaglia, realizzata di recente e pubblicata sul numero del settimanale Verona Fedele, del 14 maggio. Ringrazio di cuore per la collaborazione l’ufficio stampa Sara Testori di Parole & Dintorni e don Alberto Margoni.
Per parlare della sua musica partiamo dal silenzio. Suona paradossale, ma è proprio il silenzio la sua prima ispirazione. Roberto Cacciapaglia, compositore e pianista italiano tra i più i più in voga del momento, dopo aver conquistato le platee internazionali, a maggio torna in Italia con quattro concerti nei teatri. Il primo, venerdì 19 maggio alle 21, al Teatro Ristori di Verona. Seguiranno la tappa di Roma il 24, Bologna il 25 e Milano il 26 maggio.
Su questi palchi Cacciapaglia presenterà per la prima volta dal vivo il suo nuovissimo album “Invisible Rainbows”; i tre singoli che hanno anticipato il progetto discografico hanno già conquistato la vetta nel Regno Unito, in Italia e Cina.
La sua musica gli permette di “parlare un linguaggio universale”, di arrivare a tutti senza filtri né barriere. Per il compositore milanese la musica senza testo è una musica libera e con il nuovo album lancia “un messaggio di luce, dopo anni di buio”.
Ha dichiarato che ama partire dal silenzio per comporre: che significato ha per lei?
«Parto sempre dal silenzio, non lavoro per immagini. Il silenzio è per me l’ispirazione che viene dall’interno, è un mare calmo, lo spazio che mi permette di raggiungere uno stato di profondità dentro di me. Allora il suono si appoggia sulla stessa frequenza di chi ascolta e genera un risveglio interiore… Le vibrazioni si sentono molto nella musica dal vivo. Un saggio proverbio dice che il silenzio è d’oro».
Le sue composizioni hanno caratteristiche evocative e si prestano per accompagnare attività meditative. Quali sensazioni le piace indurre nell’ascoltatore?
«Io pratico quotidianamente la presenza mentale, e la applico alla musica. Da anni nel mio lavoro metto in pratica attraverso il suono le esperienze di varie scuole spirituali che ho incontrato nel mio percorso: dai monaci tibetani, al buddismo alle tradizioni indiane. Ho incontrato sciamani di tribù dei nativi americani, seguito rumi, ma sono profondamente cristiano e infatti ho musicato anche dei salmi della Bibbia».
Ci sono tratti distintivi che accomunano i diversi pubblici che la seguono nei vari Paesi del mondo?
«Il mio pubblico non vede la musica come arte per l’arte, ma considera la musica come un ponte di conoscenza e di esperienza. La musica è unione, annulla ogni differenza etnica, linguistica, religiosa… Tutti quelli che incontro dopo i concerti hanno degli “occhi di luce”».
Gli sguardi di luce che la sua musica suscita da cosa dipendono, secondo lei? Forse dal fatto che riesce a sfiorare le corde dell’anima?
«Io lavoro usando le mie esperienze di percorso di crescita personale e umana e le metto al servizio del suono, per portare anche agli altri un’esperienza sonora. Il suono puro, senza parole, non ha barriere e arriva ovunque; le onde sonore passano attraverso i muri, non hanno ostacoli. La musica crea una possibilità di entrare in dimensioni che di solito non percepiamo e crea quel risveglio interiore solo se la si ascolta con apertura e presenza mentale. Il fulcro è la coscienza».
Il suo nuovo album si ispira all’armonia dell’arcobaleno. Cosa c’è di diverso in questo suo 22° album?
«L’arcobaleno è simbolo di purezza, di trasparenza e di luce. È un album che arriva dopo la tempesta: tante le ostilità che abbiamo vissuto e che viviamo tra pandemia, guerre e disastri ecologici. Ma i colori nascono dalla luce. È bene avere la consapevolezza che la bellezza e la luce fanno sempre parte di noi, sono eternamente dentro di noi. Gli arcobaleni sono anche invisibili, come quelli che abbiamo dentro e che la musica ci aiuta a riaccendere».

Ha dichiarato di usare l’elettronica in modo “ecologico”. Ci spiega meglio cosa intende?
«Sono partito con l’elettronica, l’ho studiata in conservatorio e allo studio di fonologia della Rai e ho collaborato con lo studio di ricerca a Pisa. Allora usavamo computer enormi, oggi facciamo tutto con computer più semplici, sintetizzati. Sono software che ampliano il suono acustico, e rispettano la natura acustica del suono e la potenziano. Non sono suoni creati da sintetizzatori, ma sono software che lavorano sul suono acustico mentre io in contemporanea suono, aprendo quelle frequenze non udibili a orecchio umano. Non lo faccio per un processo mentale intellettuale, ma per sfruttare il potere della musica e delle sue vibrazioni».
Qual è il suo consiglio per i giovani compositori?
«Ho fondato un’accademia musicale nel 2012 e quest’anno abbiamo fatto un contest e i quattro vincitori apriranno i miei concerti, per dare spazio ai giovani talenti. Ai miei giovani dico di pensare a creare musica e non semplice arte. Il percorso è ciò che conta maggiormente, ciò che impariamo. Crescere per essere, non essere per avere».
Qualche anticipazione sul concerto al Teatro Ristori?
«Sarò presente con pianoforte, violino, violoncello e postazione elettronica. il pianoforte è centrale, come spesso nei miei lavori, e l’orchestra è una costellazione che gli ruota attorno. Ho registrato gli archi del nuovo album con l’orchestra dei Virtuosi italiani, per questo ora parto da Verona».

“Tutti quelli che incontro dopo i concerti hanno degli occhi di luce”